
Mario Draghi ha cominciato il primo giro di consultazioni con i partiti. Il Presidente della Repubblica, a seguito del fallito tentativo di ricreare un nuovo governo con le precedenti forze politiche, ha incaricato l’ex Presidente della Banca Centrale Europea per formare un esecutivo di “alto profilo”, del quale non si sa ancora nulla, neanche se sarà un governo tecnico o politico. Il tutto dipenderà da quali saranno le forze pronte ad appoggiarlo. Ed è proprio qui che si pongono i primi dubbi.
Il professor Draghi è sicuramente una persona di grande rilievo, probabilmente il meglio che questo paese ha da offrire. Laureatosi alla Sapienza, ha poi conseguito la specializzazione presso il Massachusetts Institute of Technology, MIT, una delle università più prestigiose al mondo. Ha salvato l’Euro nel momento peggiore della sua storia ed è uno degli economisti più apprezzati sulla scena internazionale. Il suo nome è sinonimo di prestigio. Infatti in questo articolo non si vuole neanche lontanamente mettere in discussione l’enormi qualità del Professor Draghi, ma discutere del reale impatto che potrà avere il suo eventuale esecutivo. Innanzitutto è sbagliato paragonarlo a Monti. Quest’ultimo aveva il compito di ridurre la spesa pubblica ed evitare che l’Italia andasse in default, e fu costretto ad emanare riforme, sì necessarie, ma terribili, che lo portarono ad essere il caprio espiatorio della politica, nonostante le colpe fossero da ricercare altrove (in particolare a Villa Arcore). Il Presidente incaricato invece, in caso trovi la maggioranza, si troverà in una situazione totalmente opposta. Lui i soldi dovrà spenderli, e bene, perché l’Italia quei soldi, entro il 2056, dovrà restituirli (ricordiamo che dei 209 miliardi del Recovery Fund 80 sono a fondo perduto, mentre gli altri 129 sono prestiti con tasso d’interesse negativo).
E qui nascono già diverse incertezze.
Ad oggi tutti i partiti politici, sia quelli principali, sia quelli più piccoli, hanno dichiarato la loro disponibilità ad interloquire con il Presidente incaricato. Il problema si verrebbe a porre soprattutto nel caso si trovasse una maggioranza larga, tale da comprendere centrodestra, centrosinistra e Movimento 5 Stelle, forze che sono portatrici di interessi diversi, per non dire contrastanti, con idee agli antipodi per quanto riguarda le modalità d’investimento di tali fondi. Questo discorso va poi allargato a tutte le altre questioni, anche quelle non economiche e strettamente legate alla pandemia, che dovranno essere prese. Come farà Mario Draghi a mettere d’accordo Zingaretti, Meloni, Salvini, Di Maio e Berlusconi?
L’altro punto da considerare è che si corre il rischio che i partiti si “nascondano” dietro questo governo Draghi, che, inevitabilmente dovrà prendere scelte impopolari, come ad esempio porre fine al blocco degli sfratti e, soprattutto, dei licenziamenti. La cassa integrazione, che ad oggi ha compiuto sforzi economici enormi, non potrà andare avanti all’infinito, e quindi il risultato potrebbe essere che, a seguito dei possibili licenziamenti in blocco da parte delle aziende, che quasi inevitabilmente avverranno, le colpe ricadranno interamente su di lui. Il tutto porterà ad una sensazione di sfiducia nei confronti del governo, e i partiti potrebbero fare a gare per decidere chi sarà a staccare la spina, rappresentando una occasione non da poco per guadagnare numerosi consensi.
Queste possibilità porteranno tutte al medesimo risultato: il totale immobilismo, con l’esecutivo che starà più alle prese con gli eventuali capricci politici rispetto alle questioni realmente rilevanti. In questo momento serve un governo forte, che sappia decidere in tempi brevi e che possa prendere anche decisioni impopolari senza guardare al consenso. La domanda è quindi la seguente, può un governo tecnico in questo momento essere la soluzione? Ai posteri l’ardua sentenza…
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